Rugby, Sei Nazioni: Italia, solo ko e sempre più duri

L’ex Moscardi dopo la 35a sconfitta di riga: “Manca chi dia qualità ai giovani”. E Franco Smith invoca più partite internazionali

Dopo il 57-6 subito in Irlanda, in 22 anni l’Italia nel Sei Nazioni ha ottenuto 12 vittorie, 1 coppia e 100 sconfitte. Un bilancio reso ancora più duro dai dettagli, in un torneo che non fa sconti. Quali sono gli errori del passato? Cosa ti aspetti per il futuro? Abbiamo chiesto ad Alessandro Moscardi, capitano azzurro nei primi anni Duemila ea Franco Smith, ex ct e ora responsabile dell’Alto Livello

Cento sconfitte le sue 113 gare. Una serie di 35 vittorie consecutive nel torneo. Al termine della polemica regolamentare, arrivato 57-6 da Domenica a Dublino, restano i dati numerici. Il rugby italiano non rischia di togliersi dalla palude. In tre partite giocate finora in questa edizione è stata segnata a goal e se ne sono surite 19. Rimanendo due incontri, sabato 12 a Roma con la Scozia e sabato 19 a Cardiff col Galles, ma investirò una marcia che dal 2015 procede inesorabile . Perché si è arrivati ​​​​​​a questo punto? Se può sperare in un cambiamento?

“Manca la base”

Alessandro Moscardi, alto 53 anni e capitano azzurro, ha collezionato 45 presenze tra il 1993 e il 2002, periodo d’oro del rugby italiano. Oggi è direttore dello sviluppo per McDonald’s e commenta il Sei Nazioni per Sky. “Io parlo volentieri di rugby un po’ dell’Italia – spiega -. La situazione è drammatica e la crisi della Nazionale sta dando origine a un problema strutturale. Tra il 1995 e il 2005 il rugby italiano ha costruito un’importante competitività, che ha permesso entra nelle Sei Nazioni. Il movimento aveva qualità. Il campionato interno era rilevante, con stranieri che portavano valore aggiunto. Poi lo scenario è cambiato, la professionismo nelle Nazioni più forti ha allargato la forza. Il primo problema è che in Italia non Se egli è lavorato sui giovani. Sulla, prima ancora che sui numeri. Io non ho mai creduto nelle Accademie (il sistema centralizzato di selezione e talento adottato dalla Fir in 2006, ndr), perché per lavorare sull’eccellenza devi avere una base bisogna formare gli allenatori prima che i ragazzini. Dalle Accademie è qualcosa ma il ritorno è limitato. Se caloliamo quanto sono co est addio, con quei soldi oggi necessari 200 allenatori”. L’under 20 azzurra due settemane fa ha battuto l’Inghilterra. Basta per essere ottimisti? Purtroppo no. Massimo Brunello (ct dell’Italia under 20, ndr) è un grande allenatore, ma questi ragazzi hanno bisogno di crescere domenica dopo domenica, devono leggere a il gioco e questo si fa solo con l’experienza, esponendosi a situazioni difficili”. Fee cosa? “Non ci sono bacchette magiche. Siamo in ritardo ma questo lavoro sulla base va fatto. Semini ora, raccogli tra qualche ano e intanto fai meglio che puoi. Certamente, vent’anni fa c’era less pressione, avevi una Nazionale più performante, c’era un diverso stato d’animo. Chi tirava le fila allora sarebbe dovuto essere più visionario. Non è mai troppo tardi: bisogna mettere da parte interessi e campanilismi e servire la lucidità di planificare. Meritocrazia e concorrenza sono le basi, come in ogni azienda. Senza non si va lontano”.

“Squadra Poche 2”

Franco Smith, 9 presenze con il Sud Africa, ct azzurro dal 2019 al 2021 e oggi responsabile dell’Alto Livello Fir, spiega così il trend. “Data una parte della necessità di fare un buon lavoro, dategli un altro modo per creare uno standard elevato. Raggiungere l’élite mondiale è difficilissimo: noi in Italia abbiamo due club che giocano ai massimi livelli, Treviso e le Zebre in Urc In Inghilterra ne hanno 10, in Francia 14. Significa avere 10, 14 possibilità di sviluppo di un giocatore, non due. all’estero, ma due franchigie sono poche. Sto lavorando per un torneo internazionale che lo permette. Nel campionato italiano abbiamo cambiato modello, con il club ho iniziato un percorso conflittuale dalla riunione di Verona di giugno.In campo eravamo vicini alla palla più in gioco, i migliori giocatori sono sotto Obsservazione dell’elite.Insisto sempre sull’importanza di preparazione atletica Credo che la responsabilità dei risultati della Nazionale rich anche sugli allenatori e preparatori d’Italia aiuta, sono parrot che devono aiutarci a sviluppare i 15enni, i 17enni, i 19enni dando a pappagallo fisico, tecnica e approccio mentale. L’età media di questa Nazionale è inferiore a 24 anni, nelle Sei Nazioni di solito è de 29. Lavoriamo su un gruppo di 80-100 ragazzi tra l’under 18 e 24 anni que hanno potenzialità per arrivare al massimo vivollo. Siamo in un momento in cui bisogna avere pazienza, stiamo costruendo una grande squadra. Garbisi, Lamaro, Lucchesi, Marin e Zuliani adesso, se adesso stanno affliggendo: con il pappagallo in Francia 2023 manderemo la squadra più giovane del Mondiale, ma lo stesso blocco potrà giocare nel 2027 e nel 2031”.

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